Di Antonio Camillo conoscevo il Ciliegiolo. Poi durante la Slow Wine Fair a Bologna ho assaggiato altro, tra cui il suo nuovo nato, Mediterraneo.
Qualche giorno fa avevo raccontato la storia di 8pari, un progetto di vino buono e giusto: anche questa storia ha un po’ a che fare con un’idea che va oltre al vino in sé.
Mediterraneo nel nome
Sarà stato il nome, sarà stato il colore dell’etichetta, ma a primo acchito me lo immaginavo un vino bianco. Perché il nome mi preannunciava sentori di macchia mediterranea, erbe aromatiche, quelle cose che a volte si studiano in teoria e poi in pratica non si incontrano poi così spesso. Poi mi sono trovata nel calice un vino rosso – è fatto con Ciliegiolo, Grenache e Carignano – e sul momento sono rimasta un po’ destabilizzata. Ma la freschezza evocata dal nome c’era tutta, davvero. Un vino piacevole, ancora un po’ scomposto dal recente imbottigliamento, ma con una bella prospettiva.
Mediterraneo nel cuore
[È una cosa che mi ha fatto pensare al concetto di riconoscenza e riconoscimento. Riconoscimento perché è difficile oggi sentire la parola Mediterraneo e non associarla a notizie drammatiche. Riconoscenza verso chi cerca di invertire la rotta, riportare il senso delle parole ad una dimensione originaria.]
Di Antonio Camillo e del suo lavoro e anche di Mediterraneo ha scritto – meglio e più di quanto potrei sapere fare io – Gabriele Rosso qualche settimana fa per Slow Wine, proprio mentre arrivavano a Vercelli, tra le altre, 12 bottiglie di Mediterraneo: metà sono già finite (e chi le ha stappate ne ha dato un feedback super positivo), metà vi aspettano.
[Lo so, verrebbe da pensare “che operazione commerciale“, ma no, basta incontrare Antonio Camillo per lasciarsi andare alla fiducia.]